lunedì 15 dicembre 2008

Il lago di Assal, il punto più basso dell'Africa

Gibuti è un piccolo paese che si trova all'estremità meridionale del Mar Rosso. Eppure, questo stato dalle dimensioni ridottissime, soprattutto se confrontate con la vastità del continente africano, ospita uno dei luoghi più curiosi dell'Africa, ossia il suo punto più basso. Questo luogo coincide con un lago, il lago di Assal, che giace a più di 150 metri sotto il livello del mare. Il lago, situato nel cosiddetto triangolo di Afar, giace in una zona caldissima dove si registrano temperature molto elevate. In più l'acqua del lago è fortemente salata, con un grado di salinità addirittura superiore a quello dell'acqua del Mar Morto e di dieci volte superiore a quella media del mare. Per la congiuntura di queste due caratteristiche, spesso nel lago di Assal si verificano dei repentini e intensissimi fenomeni di evaporazione, che in modo molto rapido cambiano l'aspetto del lago stesso. Talvolta, a causa della fortissima salinità e delle evaporazioni continue, è possibile addisittura camminare sulla distesa di sale del lago. Un sale che i nomadi abitanti di queste zone, hanno da sempre, nei secoli, usato per scopi commerciali, raccogliendolo qui e andandolo a vendere nei paesi vicini del corno d'Africa. Il sole molto forte e la luce molto intensa riflessa nel bianco-azzurro del lago di Assal, rendono pressoché insostenibile lo vista del lago senza occhiali da sole. Per iniziare a vedere questo lago in foto, queste sono alcune sue immagini, mentre questo è un video con cui ci si può veramente rendere conto dell'unicità del posto.

lunedì 8 dicembre 2008

Tra gli Ainu, popolo indigeno del Giappone

Gli Ainu sono un'etnia di indigeni del Giappone che vivono nel nord del paese del sol levante, in particolare nell'isola di Hokkaido (in un'area chiamata Ezoga-shima), a Sakhalin, nelle Kurile Islands e nella zona nordestina delle Honshu Island. Il nome di questo popolo, Ainu, significa "umano" nella loro lingua nativa. Lingua che parlano ancora in pochi in Giappone, ma che è rimasta impressa in molti dei nomi di luoghi anche famosi del sol levante; per esempio Sapporo deriva da Sapporore, che in lingua Ainu vuol dire "fiume vasto e asciutto". Gli Ainu sono panteisti e, in quanto tali, hanno un profondo rispetto per la natura. Essi pregano assiduamente tutte le divinità, tra cui la più importante sembra essere il dio del fuoco, considerato come il protettore di ogni famiglia. Gli Ainu utilizzano la natura un po' per tutti gli aspetti della loro vita: per mangiare, per costruire le proprie abitazioni e anche per vestirsi, ma proprio per il profondo rispetto che hanno di essa, non prendono mai dalla natura nulla di più di quello che è per loro strettamente necessario. Non è stato facile studiare e conoscere la storia e la cultura Ainu, in quanto si tratta di un insieme di tradizioni tramandate oralmente e non per iscritto. Tuttavia, alcune ipotesi che sono state fatte sull'origine di questo popolo suggeriscono che esso si insediò in Giappone circa 14.ooo anni fa. All'interno della cultura Ainu è certo che il canto e la danza ricoprono un ruolo molto importante. La musica Ainu è fatta prevalentemente di canto e di battiti di mani, in quanto gli strumenti musicali sono poco presenti. Tra questi il più noto è forse il mukkuri, un piccolo strumento fatto con un sottile ramoscello di bamboo che si suona con la bocca. Per approfondire la conoscenza degli Ainu, questo è un breve video-documentario che parla di loro, mentre qui è possibile vedere alcune immagini che ritraggono gli Ainu, in cui si nota l'inconfondibile tratto caratteristico degli uomini Ainu: barba e capelli molto lunghi.

lunedì 1 dicembre 2008

Il Montego Bay Marine Park, il più importante parco marino della Giamaica

Tra le tante attrazioni che possono richiamare i turisti in Giamaica, si può annoverare anche un parco marino situato di fronte a Montego Bay, tratto di costa giamaicana nord-occidentale che è molto frequentato dai turisti e che ospita la seconda città dell'isola. Il Montego Bay Marina Park, questo il nome completo del parco marino, fu istituito ufficialmente nel 1989, ma l'anno della sua vera nascita è stato il 1992. L'area del parco si snoda lungo la baia a brevissima distanza dalla costa, tant'è vero che i primi banchi di barriera corallina si possono raggiungere anche a nuoto, dal momento che distano solo 150-200 metri dalla riva. Al suo interno si possono distinguere 3 grandi ecosistemi diversi, quelle delle erbe grasse di mare, quello delle mangrovie e quello delle barriere coralline. Esso è stato inoltre suddiviso in zone diverse, a seconda delle attività che si possono e non si possono fare, che variano a seconda delle risorse naturali da salvaguardare in ogni singola zona. In generale però nelle acque del parco è possibile fare snorkelling, immersioni, pescare, anche se solo in alcune aree ben delimitate, e anche immergersi sott'acqua con delle speciali navi con pareti trasparenti che permettono di ammirare la bellezza dei variopinti pesci tropicali e dei fondali che rendono questo parco una vera e propria perla paesaggistica giamaicana. Per avere ulteriori informazioni sul Montego Bay Marina Park, è possibile visitare il sito dedicato al parco.

lunedì 24 novembre 2008

La moschea di fango di Larabanga in Ghana

Larabanga è un piccolo villaggio del nord del Ghana, i cui abitanti sono tutti, o quasi tutti, di fede islamica. Non stupisce cosi di trovare in questa località ghanese una moschea. Quello che suscita stupore è il materiale con cui è fatto questa moschea, il fango. Per questo ogni anno, le mura della moschea spesso devono essere rinforzate e talvolta anche, in parte, ricostruite o ristrutturate, in quanto le piogge su questo tempio non cadono innocuamente, ma lasciano danni anche gravi. Per finanziare i lavori di ristrutturazione spesso interviene anche il governo ghanese con dei contributi statali, dato che la comunità locale non riesce con le sue sole risorse economiche a coprire i costi di ristrutturazione. Quella di Larabanga è la moschea più antica del Ghana e una delle più vecchie dell'Africa occidentale. Essa custodisce anche un antico Corano che si dice sia stato uno dei primi 7 Corani della storia dell'Islam, interamente scritto a mano. La tradizione narra che esso arrivò miracolosamente dal cielo per esaudire le preghiere del fondatore della moschea di Larabanga, che voleva fortemente un Corano all'interno del tempio. In occasione dell'inizio dell'anno secondo il calendario musulmano, questo Corano viene portato fuori dalla moschea e ne vengono fatte delle letture pubbliche, cui partecipano moltissimi fedeli musulmani che accorrono anche da fuori per l'occasione. Nella zona di Larabanga nei primi anni novanta è stato anche avviato un progetto di eco-turismo che coinvolgeva la comunità locale per incentivare le visite alla moschea con una modalità di turismo eco-compatibile. Per iniziare ad ammirare la moschea di Larabanga, è possibile vedere queste immagini e questo video.

lunedì 17 novembre 2008

La gola di Dariali, attraverso il Grande Caucaso georgiano

La gola di Dariali, o Dariali Canyon, è un stretta valle del distretto di Kazbegi, in Georgia, nel massiccio del Grande Caucaso, che attraversa le regioni settentrionali del paese georgiano andando da nord-ovest a sud-est. Il suo nome significa Porta degli Alani, e viene dall'antica espressione persiana Dar-e Alan. Si tratta di una gola affascinante che alterna tratti di montagna rocciosa a scorci di montagne verdi, ricoperte da una vegetazione selvaggia. Ad attraversare la valle un corso d'acqua, che poi si dipana in mille rivoli e cascatelle in diverse parti della zona del canyon, e una strada molto importante nella storia della Georgia, la strada militare georgiana. La gola di Dariali fu occupata fin dai primi secoli prima di Cristo, e in essa furono da subito costruite delle fortificazioni data la posizione strategica della gola come unica arteria naturale che collegava la Georgia alla Russia. Oggi, percorrendo la valle, è ancora possibile vedere dei resti delle antiche fortificazioni che occupavano la valle. Luogo di grande fascino evocativo, la gola di Dariali è una delle zone più nascoste della Georgia, ma che nello stesso tempo rivela molto della storia di questo paese. Per chi volesse farsi un'idea di come è fatta questa bellezza naturale e storica del territorio georgiano, questo e questi sono alcuni video girati là, mentre qui si possono vedere alcune immagini della gola.

lunedì 10 novembre 2008

I Mandingo, il gruppo etnico più numeroso del Gambia

Sono un popolo di 11 milioni di persone, ma solo in un paese, il Gambia, essi sono la maggioranza della popolazione locale. Si chiamano Mandingo, o Mandinka, e costituiscono uno dei gruppi etnici più importanti e più numerosi dell'Africa occidentale. Questa etnia ha una propria lingua, e una tradizione culturale basata essenzialmente su una trasmissione orale. Oggi la quasi totalità dei Mandingo sono musulmani, anche se questa loro fede è purtruppo frutto anche di violenze e conflitti che in qualche modo hanno costretto questo popolo ad abbandonare le proprie credenze originarie, legate all'animismo, per diventare musulmani. Nella storia dei Mandingo c'è anche la piaga dolorosa della schiavitù, dato che tra il XVII e il XVIII secolo circa un terzo di questo popolo fu deportato nelle Americhe come schiavi. In Gambia, cosi come negli altri paesi dell'Africa occidentale in cui vivono oggi, i Mandingo arrivarono dopo aver passato il fiume Niger verso la sponda occidentale, alla ricerca di una terra più coltivabile. E infatti essi sono principalmente agricoltori, coltivano arachidi, riso e miglio, anche se non mancano altre figure professionali tra loro, come sarti, artigiani, macellai, tassisti, infermieri e militari. Le donne invece si occupano prevalentemente della cura della famiglia e della casa. Nonostante la cultura Mandingo sia prevalentemente orale, tra di loro c'è chi legge e scrive, principalmente con l'alfabeto arabo. Importante nella cultura Mandingo il ruolo della musica. Le danze e i canti dei Mandingo sono spesso accompagnati dal kora, uno strumento tipico di questa etnia, simile all'arpa. Dal punto di vista dell'organizzazione sociale, i Mandingo sono raggruppati in villaggi rurali governati da un gruppo di anziani guidati da un capo villaggio. Poligamia e matrimoni combinati dalle famiglie sono parte integrante della loro cultura, mentre per quanto riguarda l'educazione dei ragazzi, all'età di 14 anni è previsto il loro passaggio all'età adulta, attraverso il rito della circoncisione.

lunedì 3 novembre 2008

Le cascate Kongou nel Parco Nazionale dell'Ivindo in Gabon

Circa tre quarti del Gabon è ricoperto da una rigogliosissima e incontaminata foresta pluviale, dove è possibile ammirare la straordinaria biodiversità di questa regione dell'Africa centrale. Una parte di questa foresta rientra nel Parco Nazionale dell'Ivindo, un fiume che scorre in modo tortuoso in territorio gabonese ed è ricco di rapide e cascate lungo il suo corso. Tra queste forse le cascate più affascinanti sono le cascate Kongou, che in realtà sono una serie di cascate e di rapide concentrate in un punto preciso del fiume Ivindo. I salti di queste cascate raggiungono quasi i 60 metri di altezza. Pe raggiungere le cascate Kongou è possibile partire da Makokou, il capoluogo della regione dell'Ogooué Ivindo. Una volta arrivati a Loa Loa, un piccolo villaggio abitato prelaventemente da pescatori, è possibile imbarcarsi su delle piccole piroghe a motore, con le quali compiere il viaggio di circa 4 ore sul fiume Ivindo, che permette di arrivare nella zona delle cascate. Una volta lì, è possibile anche pernottare in un camping gestito da associazioni che stanno cercando di promuovere l'ecoturismo in Gabon. Nella zona delle cascate Kongou è possibile poi cercare l'incontro con i pigmei che abitano la regione, e imbattersi nei numerosi animali da foresta che vivono nel Parco: elefanti, gorilla, e diverse specie di uccelli e di altri animali da foresta, come i bufali, i sitatunga, i potamoceri, e il pangolino gigante). Purtroppo ultimamente un progetto di diga proprio sulle cascate Kongou, finalizzato a sostenere l'estrazione del ferro dalle miniere presenti in zona, rischia di minacciare l'ecosistema di questa bellissima area del Gabon. Per incominciare ad ammirare le cascate Kongou, anche se non dal vivo, è possibile vedere queste immagini.

lunedì 27 ottobre 2008

Savonlinna, piccolo e suggestivo borgo medioevale finlandese

Anche in Finlandia è possibile trovare dei veri e propri gioielli architettonici che ci fanno rivivere l'epoca del medioevo. Uno di questi si chiama Savonlinna, un piccolo borgo medioevale che si trova nel sud-est della Finlandia, in una regione ricca di laghi. Esso fu costruito nel 1475 dagli svedesi per difendersi dall'avanzata dei russi che minacciava il regno svedese. L'origine svedese la si ritrova anche nel nome della piccola cittadina medioevale. Infatti Savonlinna vuol dire in svedese "Fortezza del Savo", che è il nome della regione dove si trova il borgo. Oggi Savonlinna conta meno di 30.000 abitanti ed è, come del resto da circa un secolo, un nodo importante delle rotte dei battelli a vapore che attraversano la regione dei laghi. Intorno al borgo, si estende un bellissimo parco che sfuma nella piatta e rigogliosa pianura che si compenetra con i numerosi laghi di uesta regione. Nella cornice incantevole di questo borgo vengono organizzate anche delle importanti manifestazioni culturali, soprattutto musicali, molto suggestive. Questo video per esempio pubblicizza il festival di opera che si tiene ogni anno proprio a Savonlinna, e questo è proprio il sito del festival. Ma oltre agli appassionati di opera e di musica classica, Savonlinna attrae ogni anno masse di turisti colpiti dalla bellezza di questo borgo, di cui è possibile avere un assaggio guardando queste immagini. Questo invece è il sito della città, solo in finlandese.

lunedì 20 ottobre 2008

L'isola di Matamanoa, piccola perla naturale delle isole Fiji

La si raggiunge in elicottero dall'aereoporto internazionale di Nadi, che si trova sulla principale delle isole Fiji, Viti Levu. Si chiama Matamanoa, è una piccola isole facente parte del gruppo delle isole Mamanuca, e dista circa 30 km dalla costa dell'isola principale e più frequentata dell'arcipelago fijiano. Come si può vedere da questi video e da queste immagini, l'isola di Matamanoa è una piccola isola di forma conica interamente ricoperta da una ricca vegetazione tropicale di un verde rigoglioso, fatta prevalentemente di palme, e quasi del tutto circondata da una striscia di sabbia bianca che va a formare una spiaggia ininterrotta di poco meno di 1 km. Il mare circostante offre un gran bello spettacolo di colori, con le varie gradazioni del blu e del verde che si mescolano in un gioco di pulita trasparenza. Appena dietro la spiaggia le capanne dei resort sbucano in mezzo alla fitta vegetazione, in una presenza turistica che però non ha rovinato eccessivamente la bellezza naturale del posto. Dentro il mare un variegato mondo di pesci colorati fa compagnia durante i bagni e le immersioni, ben visibili nell'acqua trasparente del mare di Matamanoa, mentre sopra il mare il blu limpido e forte del cielo, come raramente lo si riesce a vedere, ti riempie di afflato naturale anche dall'alto. Insomma, un posto ideale per riconciliarsi con la natura più riposante.

lunedì 13 ottobre 2008

El Sod, il piccolo laghetto nero da cui i Borana estraggono il sale

E' un piccolo laghetto tutto nero e molto salato che si trova sul fondo di un cratere che scende nelle viscere della terra per più di 100 metri. Viene chiamato El Sod, che significa la Casa del sale, si trova a circa un'ottantina di km a sud della città di Yabelo, nel sud dell'Etiopia, ed è utilizzato dalla popolazione locale, costituita prevalentemente da Borana, per prelevare il sale. Il processo di estrazione del sale da questo piccolo lago nero è artigianale. Con i loro animali, asini e cammelli per lo più, i Borana scendono il cratere fino ad arrivare al lago nero e, una volta lì, tuffandosi nel lago e con l'ausilio di lunghi bastoni di legno, estraggono la melma nera del lago che contiene il sale, la caricano sui loro animali e risalgono il cratere. Il sentiero che porta giù al lago è impervio ma non lunghissimo, anche se farlo con animali carichi di sacchi di sale non è per niente facile. In modo particolare è abbastanza faticosa la risalita del cratere, che può durare anche ore. Comunque, per chi non volesse scendere e risalire il cratere, è comunque suggestiva anche la sola visione dall'alto. Per avere un'idea di cosa sia El Sod, queste sono alcune immagini, mentre qui c'è un video dove si possono vedere sia il paesaggio che ospita il lago nero sia le fasi dell'estrazione della melma nera che contiene il sale.

lunedì 6 ottobre 2008

Abruka, la piccola isola dei cervi, gioiello naturale dell'Estonia

E' una piccola isoletta al largo della costa estone e può essere una meta molto gradita per coloro che amano immergersi in un ambiente naturale, incontaminato e molto a misura d'uomo. Si chiama Abruka, ed è un'isola che si trova a circa 6 km dal porto di Roomassaare, nel distretto di Saare, che è grande appena circa 9 km quadrati e che conta solo una quarantina di abitanti. La storia del piccolo popolo di Abruka inizia nel medioevo, quando il vescovo di Saare-Lääne decide di aprire proprio su quest'isoletta un allevamento di cavalli. Da allora l'isola è stata abitata a tratti, mentre dal XVIII secolo s'è insediata una comunità fissa che da allora popola l'isoletta. Per raggiungere Abruka si può prendere un battello dal porto di Roomassaare, e una volta arrivati ci si trova in una piccola oasi di pace e di natura, dove i cervi sono tanti quante le persone e dove la meta turistica principale è una riserva botanico-zoologica, che può essere visitata nei mesi estivi e dove è possibile non solo vedere alcune rarità della natura dell'isola, ma anche passare alcuni giorni di relax in pensioni rustiche, e fare diverse attività ricreative, come ad esempio corsi di equitazione. I cervi che ancora oggi popolano l'isola furono portati lì per la prima volta intorno al 1880 quando fu fondato ad Abruka un sorta di "parco dei cervi". D'inverno l'isola è raggiungibile solo attraversando a piedi il piccolo stretto di mare ghiacciato che la divide dalla costa. Da segnalare sull'isola, oltre alla riserva botanica, anche il faro, altro circa 36 metri e costruito nel 1931, una casa che funge da centro turistico, costruita nel 1960 e un campeggio. Se si va a visitare il piccolo cimitero dell'isoletta, è possibile scorgere una piccola lapide a memoria delle vittime del naufragio della nave M/S Estonia, avvenuto nel 1994. Qui è possibile vedere alcune immagini dell'isola di Abruka.

lunedì 29 settembre 2008

Le isole Krum, piccoli gioielli incontaminati del mare eritreo

Non sono molto conosciute, ma offrono un grande spettacolo naturale, soprattutto per il mare che le circondano, che è di una rara bellezza. Si chiamano Krum e sono 4 isolette situate lungo la costa eritrea della Dancalia, a circa 400 km da Massawa. Per raggiungerle dalla costa, ci si impiega poco piò di un'ora in barca. Le 4 isole, di cui 2 piccoline e altre 2 più grandi, sono di origine vulcanica e sono costituite prevalentemente di roccia e terra laviche, ma lo spettacolo che offrono riguarda soprattutto il mare da cui sono circondate. Un mare più freddo di quello circonda le altre isole eritree, con dei fondali costituiti da lunghissime distese di coralli, che formano un prezioso tappeto che si perde a vista d'occhio e che ospita un ricchissimo patrimonio di pesci di varia specie e di tartarughe marine. Colpisce su queste isole il contrasto tra il verde cupo di questo mare, il nero scuro della terra lavica e il colore chiaro e luminoso delle piccole spiaggette delle isole. Su di esse si trovano anche dei villaggi in cui vivono le comunità locali, che non sembrano ancora state toccate dalle logiche turistiche già scattate in altre isole eritree. Interessante anche lo spettacolo offerto dagli uccelli che volano soprano queste isole, tra cui l'aquila pescatrice, protagonisti di spettacolari voli migratori. Per iniziare a scoprire le isole Krum, queste sono alcune immagini.

lunedì 22 settembre 2008

Le tombe del periodo Wadi Suq a Shimal

Segno antico della storia preislamica degli Emirati Arabi Uniti, le tombe di Shimal e tutto il sito archeologico presente in questo villaggio sono una delle bellezze archeologiche più interessanti di tutti gli Emirati. Il tutto si trova sulle pendici delle montagne Hajar, nell'emirato di Ras al-Khaimah. Davanti agli occhi dei visitatori si presentano più di 150 tombe risalenti al primo e secondo millennio avanti Cristo. Esse furono costruite tutte con le pietre del posto, e si incuneano sotto il terreno di Shimal tranne le coperture che spuntano dal terreno, come le punte di un iceberg archeologico che si estende tutto sotto terra. Le tombe sono tutte lunghe una decina di metri e sono composte da uno o due loculi; di queste alcune sono tombe collettive, dove sono stati recuperati talvolta decine e decine di corpi. Nelle tombe spesso sono stati ritrovati anche suppellettili e beni che si presume appartenessero ai defunti qui sepolti, come era tradizione fare in quel periodo. Purtroppo molte delle tombe di Shimal sono state spazzate via da frane e disastri naturali, travolte dalla terra delle montagne Hajar. Per avere una vista panoramica di queste tombe, è consigliabile raggiungere il forte di Husn al-Shimal, che si erge su una piccola parete rocciosa e permette di gettare uno sguardo d'insieme sullo spettacolo archeologico di Shimal. Questo sito fu scoperto per la prima volta da Beatrice de Cardi e le prime tombe furono portate alla luce dall'archeologo inglese Peter Donaldson nel 1976. Circa 10 anni più tardi un gruppo di studiosi dell'università di Göttingen in Germania iniziò un progetto di scavi che portò alla luce molte delle tombe visibili oggi. Oltre alle tombe, a Shimal si trovano anche molti resti del periodo cosidetto di Wadi Suq, incastonato nella preistoria degli Emirati Arabi Uniti nel secondo millennio a.C. Ceramiche, vasi, armi di bronzo e di rame, e altri suppellettili che risalgono al periodo compreso tra il 2.000 e il 1300 a.C. Qui è possibile vedere alcune immagini di Shimal e del suo sito archeologico.

lunedì 15 settembre 2008

Dentro l'Ospedale della Divina Provvidenza di San Salvador, la casa del Vescovo Martire Oscar Arnulfo Romero

Quando divenne Vescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero rifiutò di andare a vivere in un palazzo vescovile che avrebbero costruito tutto per lui, ma decise di vivere in una stanzetta nella sacrestia dell'Ospedale della Divina Provvidenza, nel quartiere Colonia Miramonte, a nord della capitale salvadoregna, a contatto con le sofferenze dei suoi compaesani colpiti da dolore e malattia, soprattutto da cancro. E qui, nella cappella di quest'ospedale, egli fu assassinato il 24 marzo del 1980 mentre celebrava messa, per il suo impegno a favore dei poveri, degli oppressi e di tutti coloro che erano vittime delle violenze e delle prepotenze della dittatura che allora imperversava in questo paese. Ancora oggi, quest'ospedale, che vive unicamente delle donazioni dei cittadini, continua ad offrire aiuto medico e rifugio spirituale per chi è colpito da gravi malattie. La maggior parte dei pazienti finisce qui spesso nella fase terminale della propria malattia, abbandonati da famiglia e amici, che non sono in grado di sostenerli economicamente, ed essi spesso qui terminano i loro giorni. E qui, in quest'ospedale, ogni anno arrivano tantissime persone che vogliono visitare la cappella dell'ospedale dove Romero, considerato martire dalla Chiesa Cattolica, celebrava messa, e la stanza dove egli viveva. In essa sono conservate ancora alcuni oggetti personali, l'abito da messa che il Vescovo usava indossare, molte targhe di riconoscimento donate da chi aveva ricevuto aiuto da Monsignor Romero, e i 205 libri che costituivano la sua piccola biblioteca personale.

lunedì 8 settembre 2008

La Via dei vulcani in Ecuador

L'Ecuador da cima a fondo, passando in mezzo ai vulcani. Cosi potrebbe essere descritta la cosidetta Via dei vulcani, quel tratto di strada panamericana che taglia questo paese sudamericano da nord a sud, snodandosi all'interno di una valle compresa tra due catene montuose parallele, la Cordigliera Occidentale e la Cordigliera Orientale, composte entrambe prevalentemente da vulcani. La strada collega la capitale Quito, a nord, con la città di Cuenca, nel sud del paese. In tutto sono una decina di ore di autobus, che riservano uno spettacolo naturale tra altipiani andini, fertili vallate e vulcani, tra cui molti ancora attivi. Tra questi si può ammirare in tutto il suo splendore il vulcano Cotopaxi, alto 5.897 metri, con la cima ricoperta da ghiacciai perenni e i pendii ricchi di vegetazione tropicale. Quest'ultima zona è anche riserva naturale, molto interessante per l'originalità dell'ecosistema e per la varietà di specie animali e vegetali. Un elemento particolare di questi pendii è costituito dalle pinete "importate" per rimediare a secoli di disboscamento. Passando invece vicino alla cittadina di Riobamba si può notare la cima maestosa del vulcano Chimborazo, un vulcano spento che raggiunge i 6.310 metri di altezza. Il suo nome deriva dalle 2 parole quechua chimbu e razu, che significano neve blu. La sua cima è composta da 5 vette, mentre lungo i suoi fianchi si snodano ben 14 ghiacciai, di cui alcuni molto ripidi. Questo vulcano è meta ambita da molti scalatori sia per il suo fascino e la sua imponenza sia per la ripidità dei suoi ghiacciai. Altri vulcani noti che si incontrano lungo la via dei vulcani sono il Rumiñahui, alto 4.710 metri, il Corazon, il Quilindaña e i 2 Ilizinas. Lungo la Via dei vulcani si incontrano anche numerosi villaggi e diverse cittadine dove si possono trovare ancora, nell'architettura delle case, come nei modi di vivere e di vestirsi, tratti tipici delle tradizioni di quelle regioni dell'Ecuador. Una delle città più pittoresche è Riobamba, chiamata anche la Sultana delle Ande, con le sue strade a scacchiera e le sue abitazioni bianche con i balconi in ferro battuto, ricordo dell'epoca coloniale. Per farsi un'idea dello spettacolo che si può ammirare attraversando la Via dei vulcani, queste sono alcune immagini e questi sono dei video in cui è possibile vedere alcuni dei paesaggi che questa strada offre.

lunedì 1 settembre 2008

Il boiling lake di Dominica, il secondo lago di vapore più grande al mondo

Nascosto sulle pendici di una montagna ricoperta di foresta, giace, nell'isola di Dominica, il lago di vapore, the boiling lake, un bacino di acqua calda in continua ebollizione ricoperto da un intenso strato di vapore. Osservando il lago si possono osservare alte colonne di vapore che si levano al cielo, sia sul lago sia in alcuni punti circostanti il lago. Il boiling lake, che secondo alcuni è il secondo lago di vapore più grande del mondo, è largo una sessantina di metri, è situato nel Morne Trois Pitons National Park, a una decina di km dalla capitale di Dominica Roseau, ha un'origine vulcanica ed è circondato da una sorta di minicratere circolare dai colori che ricordano un po' quelli della lava vulcanica. Il lago è alimentato dalle cascate pluviali che ci cadono dentro dopo aver raccolto le intense pioggie che caratterizzano un po' tutta questa isola dei Caraibi. Si dice che questo lago sia stato scoperto da 2 inglesi nella seconda metà del XIX secolo. Per arrivare al boiling lake bisogna percorrere un sentiero che sale per circa 12 km in mezzo alla foresta e che è dotato anche di punti panoramici e di piccoli luoghi di ristoro per i picnic. Il punto di partenza della camminata è solitamente Laudat, dove è possibile anche prendere una guida. Per avere un'idea più precisa del lago di vapore di Dominica, questi sono alcuni video che lo ritraggono, mentre qui è possibile vedere alcune sue immagini.

lunedì 25 agosto 2008

Ladbyskibet, la tomba vichinga con tanto di nave dentro

Sull'isola danese di Funen, a ovest della città di Kerteminde, giace il villaggio di Ladby. A poco più di 1 km da questo villaggio sorge Ladbyskibet, la località dove, in mezzo a un prato, sotto un tumulo di terra, sorge una tomba vichinga che risale al decimo secolo e che contiene i resti di una nave vichinga. La presenza di questa nave in un sepolcro si spiega con il fatto che questa è la tomba di un capo vichingo, e quando moriva un capo vichingo, egli era sepolto con tutti gli oggetti più importanti che avevano caratterizzato la sua vita, in modo che i beni di cui egli aveva goduto durante la vita terrena, continuassero ad accompagnarlo anche nell'aldilà. Per questo, oltre alla nave, vicino alla salma erano state poste anche armi, cibo, bevande, gioielli e oggetti di artigianato, che il capo vichingo aveva usato durante la sua vita. Oltre agli oggetti, erano stati sepolti insieme a lui, sempre per lo stesso motivo, anche i suoi animali, cani e cavalli, di cui risultano ancora visibili alcune ossa. La nave vichinga di Ladbyskibet, lunga più di 21 metri e larga circa 3, era stata costruita prevalentemente in legno, materiale che s'è interamente decomposto ed è scomparso. Essa presentava probabilmente decorazioni che riprendevano la figura del dragone, animale che spesso ritornava, con le sue forme, nelle costruzioni dei vichinghi. Della nave sono rimasti intatti, e sono tuttora visibili, le piccole parti in ferro, come gli anelli e le punte che erano attaccate in vari punti della nave. Vicino alla tomba di Ladbyskibet sorge oggi anche un museo che contiene delle copie degli oggetti sepolcrali che erano presenti nella tomba, e che mostra alcuni aspetti e alcune caratteristiche della vita dei vichinghi e della loro concezione della morte e dell'aldilà. Qui è possibile vedere alcune immagini della tomba di Ladbyskibet e di quello che rimane della nave in essa contenuta.

lunedì 18 agosto 2008

A Puerto Viejo de Talamanca, a contatto con i Bribri

Puerto Viejo de Talamanca è una cittadina situata nella zona sudorientale del Costa Rica, nella provincia di Limón. Nota soprattutto come punto di ritrovo dei surfisti e degli appassionati di reggae, Puerto Viejo de Talamanca offre però un'altra opportunità interessante a chi la visita, quella cioè di incontrare la popolazione indigena dei Bribri, un'etnia presente sia in Costa Rica che a Panama, costituita oggi da poche decine di migliaia di persone. Essi tendono a vivere abbastanza isolati, senza troppi contatti con ciò che li circonda, e questo ha permesso loro di conservare alcuni aspetti della loro cultura tradizionale e di resistere maggiormente al processo di assimilazione alla cultura occidentale. I Bribri vivono essenzialmente di agricultura, spesso in villaggi senza elettricità e acqua corrente, parlano una loro lingua e costruiscono da sé gran parte degli oggetti utili alla propria sussistenza e anche i medicinali necessari in caso di malattie. In una piccola tribù di Bribri, chiamata Kekoldi, si svolge un'attività curiosa: l'allevamento di iguane, spesso oggetto di una caccia aggressiva in queste zone. Questo popolo preserva e nutre le iguane per i primi 5 anni di vita per poi restituirle alla natura selvaggia, assicurando a questa specie profiferazione e conservazione, nonostante la minaccia della caccia. Per approfondire la conoscenza del popolo Bribri, è possibile vedere questi video.

lunedì 11 agosto 2008

Angkor Wat, il sito religioso più grande al mondo

Angkor Wat rappresenta uno dei luoghi religiosi dell'antichità più maestosi e più stupefacenti di tutto il mondo. Si tratta di un grandissimo tempio situato nel sito archeologico di Angkor, a poco più di 5 km dalla città cambogiana di Siem Reap. Il tempio, il cui nome significa "Tempio della città", risale al periodo della civiltà khmer, la più importante nella storia della Cambogia, e fu fatto costruire dal re Suryavarman II. La costruzione del tempio richiese meno di 40 anni, dal 1113 al 1150, e questo appare molto sorprendente se guardiamo la grandezza e l'imponenza del sito. Il tempio infatti è lungo, da est a ovest, 1,5 km, mentre da nord a sud, 1,3 km, ed è circondato da un muro lungo 3,6 km e da un fossato sotto cui scorrono 3 gallerie rettangolari poste l'una sopra l'altra. Questo tempio è cosi importante per la Cambogia che appare, in forma stilizzata, nella sua bandiera, come simbolo del paese. Il tempio è dedicato a Vishnu, uno dei 3 aspetti della divinità secondo la religione induista, insieme a Brahma e Shiva, e sembra che sia stato fatto costruire come mausoleo del re Suryavarman II, dal momento che l'ingresso principale è a ovest, caratteristica tipica dei templi funerari della civiltà khmer. Per gli appassionati di architettura e di arte, Angkor Wat è una delle rappresentazioni più imponenti dell'architettura khmer, ed è un misto tra 2 stili architettonici che si sono susseguiti nella costruzione di edifici religiosi durante la civiltà khmer, quello del tempio collina, dove il tempio, circondato da un fossato, è la rappresentazione del Monte Meru, la sede delle divinità, e quello successivo dei templi a galleria, che si ritrova nelle gallerie sottostanti il fossato. In messo al tempo vi sono 5 torri, che rappresentano le cinque cime del Monte Meru, mentre le mura e il fossato circostanti il tempio rappresentano le montagne e gli oceani che circondano le montagne divine. Per rendersi conto dell'imponenza di Angkor Wat, queste sono alcune immagini, mentre questi sono alcuni video che riprendono il sito.

giovedì 7 agosto 2008

I Senufo, etnia africana presente in Costa d'Avorio, Mali e Burkina Faso

I Senufo sono un'etnia africana che vive nel nord della Costa d'Avorio, in Mali e nel Burkina Faso e che è arrivata in queste regioni nei secoli XV e XVI con un movimento migratorio da nord a sud. La società dei Senufo è organizzata secondo un rigido schema gerarchico. Coloro che stanno più in alto nella scala sociale sono gli agricoltori, mentre gli ultimi sono i musicisti. La loro economia è basata essenzialmente sulla coltivazione della terra, e infatti all'interno di ogni villaggio, quale che sia la sua composizione, si possono sempre trovare giovani uomini dediti all'agricoltura, che contribuiscono allo sviluppo dell'economia del villaggio. La coltivazione e il commercio dei beni che la terra dà ai Senufo costituiscono il cuore della loro economia. Addirittura durante il loro lavoro essi ingaggiano come delle gare per vedere chi riesce a zappare più velocemente la terra, trasformando quasi il lavoro in gioco. Chi vince diventa sambali, titolo che viene considerato uno dei più grandi onori che un uomo possa avere. Un sambali non solo è rispettato e stimato in gioventù, ma avrà anche ruoli di guida del popolo nella sua vecchiaia. Tutti questi elementi sono una chiara dimostrazione di come il legame con la terra sia importante nella cultura e nella vita dei Senufo. I bambini e i ragazzi Senufo crescono in luoghi detti poro, spesso situati in mezzo alla foresta. Nei poro i ragazzi vegono educati come a scuola e realizzano prodotti artigianali in legno come maschere e sculture. Nelle comunità Senufo le donne si occupano principalmente della cucina. Cucinare bene per una donna Senufo è molto importante, perché il non possedere questa qualità è motivo di vergogna. Dal punto di vista della religione, i Senufo sono animisti, considerano il mondo come governato da spiriti a cui devono culti e sacrifici, che devono essere sempre eseguiti alla perfezione per non attirare la loro ira sul villaggio. Per approfondire la conoscenza dei Senufo, questi sono alcuni video che li ritraggono e in cui è possibile vederli in alcune loro danze tipiche, mentre qui si possono vedere alcune immagini che ritraggono persone Senufo o loro prodotti artigianali.

lunedì 4 agosto 2008

Il tempio di Beomeosa, importante centro del buddismo coreano

In Corea del Sud vi sono molti templi che raccontano la storia del buddismo coreano e dei monaci che hanno sviluppato il buddismo in questo paese. Tra questi forse il più importante è quello di Beomeosa, o Pomosa, costruito sui pendii del monte Kumjong, nella zona di Busan, la seconda città della Corea del Sud. Il suo nome significa "Tempio del pesce Nirvana". Questo tempio fu costruito nel 678 durante il regno di Silla e si dice che il fondatore sia stato il monaco Uisang, importante figura del buddismo coreano in quanto fu il fondatore del movimento Hwaeom, la versione coreana della Scuola Huayan del buddismo cinese. Dopo il suo ritorno dalla Cina, il monaco Uisang si dedicò alla diffusione del suo insegnamento e si dice che costruì una decina di templi in cui si insegnava la sua dottrina. Attualmente il tempio di Beomeosa è costituito da 7 siti principali, chiamati in inglese, rispettivamente, National Treasure 250 (Three Story Stone Pagoda), National Treasure 434 (Dae-ungjeon), Tangible Cultural Asset 2 (Jogyemun), Tangible Cultural Asset 11 (Wonhyoam Eastern Pagoda), Tangible Cultural Asset 12 (Wonhyoam Western Pagoda), Tangible Cultural Asset 15 (Flag Pole Holder), Tangible Cultural Asset 16 (Stone Lamp). Intorno al complesso principale del tempio, vi sono altri 11 piccoli monasteri o templi: Chongnyong-am (Blue Lotus Hermitage), Naewon-am (Buddha's Celestial Teaching Hall Hermitage), Kyemyong-am (Rooster's Crow Hermitage), Taesong-am (Great Saint Hermitage), Kumgang-am (Diamond Hermitage), Anyang-am (Peace Nurturing Hermitage), Miruk-am (Maitreya Hermitage), Wonhyo-am (Former hermitage residence of the famous monk, Wonhyo), Saja-am (Lion Hermitage), Mansong-am (Great Teacher Hermitage), Chijang-am (Ksitigarbha Hermitage). Purtroppo 2 incendi, il primo nel 1592 e il secondo nei primi anni del 1600, distrussero parte del complesso, che originariamente era ancora più grande di come appare oggi, ed era arrivato a ospitare più di 1.000 monaci in più di 360 celle. Per conoscere meglio la storia del tempio di Beomeosa è possibile visitare questo sito, in inglese, dove si possono vedere anche alcune immagini del complesso.

lunedì 28 luglio 2008

Kŭmgangsan, la montagna del diamante

E' stato uno dei primi luoghi della Corea del Nord ad essere aperto alle visite di persone che provenivano dalla Corea del Sud. Il suo nome, Kŭmgangsan, significa Montagna del Diamante, ed è la seconda montagna più alta della Corea del Nord, con i suoi 1.638 metri. Si trova nella catena montuosa di Taebaek, che corre lungo la costa orientale della penisola coreana. Tradizionalmente questa montagna viene divisa in 3 zone: Inner Kŭmgang, Outer Kŭmgang e Sea Kŭmgang. Ciascuna di queste 3 aree ha una propria conformazione geologica e topografica ed è caratterizzata da alcuni elementi specifici. La prima area, la Inner Kŭmgang, è nota per gli spettacolari panorami che offre e per il precipizio di Manpok. La seconda zona, la Outer Kŭmgang, si distingue per l'alto numero di vette e di picchi rocciosi, tra cui svetta la cima Chipson, dove si possono ammirare decine di migliaia di forme rocciose diverse e una moltitudine di cascate e cascatelle che bagnano le conformazioni rocciose a diverso livello. Quello della diversità e del fascino delle forme rocciose che formano questa montagna è uno dei suoi aspetti più caratteristici. Alcuni tra i picchi rocciosi più suggestivi li si possono ammirare nell'area di Manmulsang, mentre tra le cascate, consigliate sono quelle di Kuryong, larghe 4 metri e con un salto d'acqua di 74 metri, che offrono un meraviglioso spettacolo naturalistico. La terza area del Kŭmgangsan, la Sea Kŭmgang, è invece nota per le sue lagune, tra cui quella più conosciuta, navigabile con la barca, è forse quella chiamata Samil, che vuol dire "3 giorni". Il suo significato deriva da una leggenda che racconta che un re visitò un giorno questo lago e, colpito dalla sua bellezza, alla fine decise di rimanervi 3 giorni e non più 1 solo. In generale tutta la montagna del Kŭmgangsan è rivestita di una rigogliosa foresta, dal momento che questa è una delle aree a più alta piovosità di tutta la penisola coreana. Intorno alla montagna infine sorgono molti vecchi templi, conservati non benissimo, che però testimoniano il passato religioso di questa regione; tra questi i più conosciuti sono forse quello di Changan-sa, di Maha-yon e di Pyohon. Per approfondire la propria conoscenza del Kŭmgangsan, queste sono alcune immagini, mentre questo è un breve video girato lì.

lunedì 21 luglio 2008

La cima Margherita, la terza più alta dell'Africa

La cima Margherita è la terza montagna più alta di tutto il continente africano, dopo il Kilimangiaro e il monte Kenya. E' alta 5.109 metri e si trova sul massiccio montuoso Stanley, nella catena del Ruwenzori, che è nota anche con il nome di Montagne della Luna e che si snoda per circa 120 km lungo il confine tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Ai suoi piedi giacciono 2 laghi, il lago Alberta al nord, e il lago Edward al sud. La vetta del monte Margherita sorge su piccolo massiccio roccioso, da affrontare in arrampicata dopo una traversata non lunghissima del ghiacciao permanente sottostante la vetta. Tutta la salità non presenta particolari difficoltà tecniche e offre un grande spettacolo naturalistico, con la cresta nevosa a forma di fungo appena sotto la cima, e con le stalattiti di ghiaccio che pendono dai picchi di roccia che formano la cima. La prima persona che scalò questa cima fu un italiano, più precisamente Luigi Amedeo si Savoia, duca degli Abruzzi, che conquistò la vetta nel 1906 e chiamò la montagna con il nome dell'allora regina d'Italia, Margherita appunto. Per conoscere meglio la cima Margherita è possibile guardare questo video, che mostra l'ascesa di un gruppo di persone alla vetta.

venerdì 18 luglio 2008

L'Odzala National Park nella Repubblica del Congo

Situato nella striscia occidentale del Congo, poco sopra l'equatore, l'Odzala National Park è uno degli ecosistemi più interessanti di quelli che si possono trovare nelle foreste tropicali africane. Si tratta anche di uno dei parchi più antichi del continente africano, fondato nel 1935. Al suo interno questo parco vede un'alternarsi di zone di fitta foresta e zone di ampia savana, dovuto al fatto che lungo la storia, in queste aree vi sono stati molti passaggi da foresta a savana e viceversa. Questa varietà e mutabilità di paesaggio spiega anche la varietà e la ricchezza della vegetazione e della fauna qui presenti. Colpiscono gli alberi alti 40 metri che sembrano chiudere sotto di sè la foresta, la cui successione è interrotta talvolta da pianori senza alberi e senza piante, a causa del disboscamento, o del prelievo dei minerali e dei sali presenti nel terreno. All'interno della foresta dell'Odzala National Park si possono incontrare gorilla, elefanti, e maiali selvaggi molto grandi, mentre da alcune aree del parco è possibile osservare, puntando gli occhi verso il cielo, una grande quantità di specie diverse di uccelli. Nella zona del parco, la presenza umana è scarsissima, e questo ha garantito anche la preservazione dell'ecosistema naturale e originario del luogo. Solo nella zona sudoccidentale del parco vivono dei gruppi di indigeni appartenenti all'etnia Bantu, che grazie a questo parco vivono, in quanto molte risorse messe a loro disposizione dal parco sono indispensabili alla loro sussistenza. Per avere un'idea più precisa di come si presenta l'Odzala National Park, queste sono alcune sue immagini.

Ngazidja, la più grande delle isole Comore

Ngazidja è il nome locale di Grande Comore, la più grande delle 3 isole che formano l'arcipelago dell'Unione delle Comore. Su quest'isola si trova Moroni, la capitale dell'Unione. Si tratta di un'isola di origine vulcanica, con un'area di circa 1.200 km quadrati. A nord, per circa due terzi della sua superficie, è ricoperta da un altipiano roccioso, noto come La Grille, mentre al sud si trova il più grande vulcano dell'arcipelago, il Karthala, alto circa 2.300 metri, e con uno dei crateri più ampi di tutti i vulcani ancora attivi nel mondo. In un secolo e mezzo, da metà del XIX secolo a oggi, vi sono state una dozzina di eruzioni, di cui la più potente risale al 1918, mentre la più recente è del 1977. La presenza di questo vulcano pare sia molto importante per spiegare i nomi sia dell'arcipelago, Comore, sia della capitale, Moroni. Infatti nella lingua del posto, un dialetto derivante dalla lingua swahili, Comore significherebbe "il posto del fuoco", mentre Moroni, il nome della capitale dell'Unione delle Comore, significherebbe "al posto del fuoco". In entrambi i nomi ricorre infatti la parola "moro", che significa "fuoco" o "calore". Gli abitanti di Ngazidja sono qualche centinaia di migliaia, discendono da antichi ceppi africani e arabi e sono prevalentemente di religione musulmana. Essi coltivano i terreni dell'isola che si trovano sotto i 2.000 metri, mentre sopra questa quota dominano foresta tropicale, al sud, e piante grasse, al centro e al nord. Molti abitanti di Ngazidja sono abili pescatori. Tra i prodotti più tipici che vengono da quest'isola vi sono la vaniglia e l'essenza di ylang ylang, contenuta in molti profumi. Arrivare a Ngazidja significa staccare completamente con la nostra vita abitudinaria. Qui tutto contribuisce a tirarti fuori dall'ambiente a cui si è abituati per immergerti in un'atmosfera quasi surreale di solitudine e calma. Le bellissime spiagge bianche con le scogliere nere di roccia lavica, le barriere coralline, la piccole cascate che si trovano ogni tanto, i piccoli laghi vulcanici, tutto concorre a una riconcilazione con la natura più selvaggia. Qui è possibile vedere alcune immagini dell'isola, mentre questi sono alcuni video girati lì.

lunedì 14 luglio 2008

Limassol, città del porto, del castello medievale e del vino

Limassol, o Lemesos, è la seconda città di Cipro e costituisce uno dei porti più importanti che si affacciano sul Mediterraneo. Ma oltre alla sua importanza commerciale, Limassol ha anche diversi luoghi interessanti da vedere, che parlano della sua storia, soprattutto quella relativa al periodo medioevale. Limassol ha infatti uno dei castelli più belli dei 9 che si possono trovare a Cipro, che fu costruito dai Bizantini intorno all'anno 1000. In questo castello si dice che si sia sposato Riccardo Cuor di Leone, con l'allora principessa Berengaria di Navarra. Questo castello è stato anche usato, tra il 179o e il 1940, come prigione. All'interno del castello è stato instituito un museo medievale che espone diversi tipi di oggetti, che hanno contribuito a fare la storia di Limassol tra il 400 e il 1870: cannoni, armi, sculture di legno, dipinti, statue, vasi di terracotta, ceramica e altro ancora. Ma si può andare anche più indietro con gli anni, a Limassol. Basta visitare il suo Museo Archeologico, che ospita un'interessante collezione di reperti risalenti a un'epoca storica che va dal Neolitico al periodo dell'impero romano, reperti tutti ritrovati nella zona di Limassol. Ma questa città di Cipro è anche nota per il suo vino. Ogni anno, all'inizio di settembre si tiene qui il grande Festival del vino di Cipro, dove tutti possono degustare gratuitamente il vino del posto, accompagnando le bevute a momenti di festa e spettacoli con gruppi folcloristici del posto. Per chi volesse approfondire la conoscenza di Limassol, questo è il sito della municipalità, queste sono alcune immagini, e questi sono alcuni video girati lì.

venerdì 11 luglio 2008

Santo Antão, l'isola di Capo Verde con vulcani, spiagge e deserto

Delle isole che formano l'arcipelago di Capo Verde, Santo Antão, in creolo Sontonton, è la seconda più grande, con i suoi 779 km quadrati. L'isola fu scoperta nel 1462 da Diogo Afonso, e ha conosciuto un grande sviluppo nel XIX secolo, fino a diventare, oggi, uno dei centri turistici di maggior richiamo di tutto l'arcipelago di Capo Verde. E' situata nella parte settentrionale dell'arcipelago, tra le isole cosidette di Barlavento. Essendo un'isola di origine vulcanica, una delle attrazioni da non perdere in quest'isola sono le montagne formate tutte di roccia vulcanica. La più alta di queste è il Topo de Coroa, picco che raggiunge i 1979 metri. Ma vi sono altre montagne degne di una visita, come il Pico da Cruz, un picco di 1814 metri posto a nord-est dell'isola, e il Guido de Cavaleiro, di 1811 metri, che si trova a sud-est. Tra le montagne si possono talvolta scorgere anche alcuni crateri, segno delle erosioni passate. Tra questi particolarmente suggestivo è il cratere di Cova. Da queste terre vulcaniche si estrae la pozzolana, una specie di argilla vulcanica che viene utilizzata per fare il cemento. Ai piedi delle montagne vulcaniche le valli dell'isola di Santa Antão si presentano profonde e come incuneate in mezzo a un paesaggio che sembra ostile. A questo paesaggio vulcanico e inospitale, di cui è segno anche la costa settentrionale, tutta frastagliata e rocciosa, si affiancano però talvolta degli altipiani ricoperti di ricca vegetazione, con eucalipti, cipressi, pini e acacie, spiagge molto belle, come Praia Formosa, e paesaggi desertici a sud. Alla varietà dei passaggi fa da contraltare la varietà dei climi. Mentre a nord infatti si trova un clima umido, la parte meridionale dell'isola è invece caratterizzata da un clima molto secco. I due centri più importanti dell'isola sono Porto Novo, che si trova, con il suo porto, sulla costa meridionale, e Ribeira Grande, situata invece sulla costa settentrionale, che ospita l'unico aereoporto dell'isola. La gente di Santo Antão vive di pesca e di agricoltura, con le coltivazioni di canna da zucchero, manioca, banane, cocco, mango e papaia. Nelle zone in cui si lavora la canna da zucchero, è possibile trovare i trapiche, strumenti tipici che servono per macinare la canna, cosi come è possibile trovare persone che offrono ai turisti il grogue, una specie di acquavite. Per conoscere meglio Santo Antão, queste sono alcune immagini dell'isola, mentre questi sono alcuni video girati sull'isola.

martedì 8 luglio 2008

Il lago Ciad, uno dei più grandi laghi della terra a rischio di estinzione

Il suo nome significa, nella lingua del posto, "grande distesa d'acqua". Lago appunto. E questo nome l'ha passato anche al paese che lo ospita nella sua regione occidentale, il Ciad. E' il lago Ciad, uno dei 10 laghi più grandi al mondo, che, oltre al Ciad, bagna anche le aree confinanti di Camerun, Niger e Nigeria. L'importanza di questo lago per la popolazione locale è indiscutibile. La sua acqua serve per far vivere circa 20 milioni di persone dei 4 paesi che lo ospitano. La cosa interessante è che ben il 90% dell'acqua contenuta in questo lago è portata da un unico affluente, il fiume Chari. Da qui le acque del lago Ciad, che apparentemente sembrano non avere vie d'uscita, vanno ad infiltrarsi nelle depressioni di Soro e Bodélé. Il lago Ciad è molto poco profondo, solo 10 metri il suo punto più profondo. Le sue rive sono paludose e sulla sua distesa d'acqua si possono vedere ogni tanto delle piccole isole e dei banchi di fango. Ogni tanto è possibile scorgere sulla superficie del lago i membri della comunità Buduma pescare dalle loro canoe. Questo lago purtroppo però è in via d'estinzione. Infatti sta progressivamente diminuendo le proprie dimensioni a causa dei cambiamenti climatici, del riscaldamento globale, del calo delle piogge annuali, e di un sempre maggior utilizzo delle sue acque per l'agricoltura nelle terre circostanti, sempre più minacciate dalla desertificazione. Basti pensare che si ritiene che nel momento della sua massima espansione, intorno all'anno 4.000 a.C. il lago Ciad coprisse un'area di circa 400.000 km quadrati. Oggi esso copre un'area di meno di 1.500 km quadrati. Solo 40 anni fa la dimensione del lago Ciad era di circa 26.000 km quadrati. Purtroppo una cosi drastica diminuzione della quantità d'acqua del lago, ha fatto esplodere e fa esplodere quasi in continuazione tensioni e conflitti per l'uso dell'acqua tra proprietari terrieri del posto, e tra questi ultimi e i pescatori, che vedono minacciato l'ambiente necessario al loro lavoro. Negli anni si sono succeduti diversi progetti per portare nuova acqua a questo lago, ma fino ad ora non si è ancora riusciti ad invertire la rotta che sta portando il lago all'estinzione. Qui è possibile vedere alcune immagini del lago Ciad.

I pigmei Aka della Repubblica Centraficana, indifesi contro le discriminazioni

Nella regione sudoccidentale della Repubblica Centraficana vive una delle comunità di pigmei più antiche dell'Africa. Sono gli Aka, un popolo seminomade che vive, e ha sempre vissuto, in mezzo alla foresta tropicale, loro habitat naturale. Essi sono organizzati in piccoli gruppi costituiti da qualche decina di persone, e si spostano all'interno della foresta, che offre loro il necessario per vivere: la selvaggina, cacciata principalmente dagli uomini, e frutti, tuberi, bacche e insetti commestibili, raccolti soprattutto dalle donne. Le loro abitazioni sono delle specie di igloo costruiti intrecciando tra di loro rami e foglie. Gli Aka hanno conservato fino ad oggi il loro stile di vita e l'organizzazione sociale che caratterizza la loro comunità, ma negli ultimi decenni hanno visto crescere varie forme di discriminazione nei loro confronti. La deforestazione, finalizzata allo sfruttamento del legname pregiato, contribuisce ad eliminare progressivamente il loro habitat naturale privandoli dei mezzi necessari per la loro sussistenza; la discriminazione dei vicini Bantu, abitanti di colore della Repubblica Centraficana, che tendono a sfruttare gli Aka nelle loro coltivazioni agricole, nelle loro miniere o nelle loro segherie, sottopagandoli o dando loro come ricompensa solo alcool e sigarette; l'indifferenza del governo della Repubblica Centraficana, che spesso non riconosce per gli Aka gli stessi diritti che spettano agli altri cittadini centraficani, e quindi non li protegge. Molti Aka non risultano presenti nei registri comunali, non hanno documenti di identità e tessera elettorale, e non hanno accesso alle medicine e alla scuola; lo sfruttamento turistico dei loro costumi e delle loro tradizioni, che li rendono sempre più solo "fenomeni da circo". I pigmei Aka stanno diventando cosi sempre più poveri e sempre più esposti a malattie e infezioni, spesso mortali. Essi hanno un'aspettativa di vita di circa 40 anni e la loro mortalità infantile è tra le più alte del continente africano. Una delle più belle eredità che continuano a trasmetterci gli Aka è la loro arte canora e musicale. Essi hanno infatti sviluppato una tradizione polifonica di ottima qualità, e i cantanti sono capaci di produrre una incredibile varietà di toni. Musica, canto e danza costituiscono momenti centrali della loro vita quotidiana, e ricorrono soprattutto nei rituali che si celebrano in occasione dell'inaugurazione di nuovi insediamenti, in occasione delle battute di caccia o durante i funerali. Per conoscere meglio i pigmei Aka della Repubblica Centraficana, queste sono alcune immagini che li ritraggono.

lunedì 23 giugno 2008

Nel villaggio di Besalì una scuola elementare in mezzo alla foresta

La si potrebbe chiamare la "scuola della foresta". E' infatti nel bel mezzo della foresta equatoriale della parte occidentale del Camerun, nel villaggio di Besalì, della provincia di Fontem, che sorge una scuola elementare costruita su volontà del re del villagio, chiamato fon, con l'aiuto del Movimento dei Focolari e dell'Unicoop di Firenze. Besalì è un villaggio che si trova nel territorio della tribù mundani, confinante con quella dei bangwa, e si riesce a raggiungere solo percorrendo una sessantina di chilometri in mezzo alla foresta, e durante la stagione delle piogge ci vuole poco perché il villaggio rimanga isolato e pressoché irraggiungibile. E' uno dei meandri di Camerun rimasti più intatti rispetto allo sviluppo delle zone circostanti, e ancora molto legato alle proprie tradizioni e alle proprie radici. Qui la popolazione deve lottare quotidianamente per la propria sopravvivenza, e la sua principale fonte di ricchezza è la lavorazione dell'olio di palma. La gente vive in condizioni igieniche e sanitarie spesso drammatiche. Proprio per aiutare i bambini che vivono in questo pezzo di Camerun, è stata costruita la scuola elementare, che svolge una funzione educativa primariamente nei confronti dei bambini, ma indirettamente, anche nei confronti degli adulti. Attualmente la scuola ospita circa 80 bambini che frequentano le classi che vanno dalla prima alla quarta, mentre un corso completo di scuola elementare di solito prevede 6 anni. Accanto alla scuola è stato costruito anche un dispensario medico. In programma anche un corso di educazione alimentare per 4 persone e l'offerta di 4 borse di studio, che permetteranno ad altrettanti studenti di completare le scuole secondarie. Qui a Besalì l'aiuto parte dai bambini. Per chi fosse interessato, qui è possibile raccogliere ulteriori informazioni sul progetto di Besalì.

lunedì 16 giugno 2008

In Burundi, a Rutovu, si trova la fonte più meridionale del Nilo

Cosa c'entra il Nilo con il Burundi, paese situato nelle ragione dei grandi laghi, nella fascia centrale del continente africano, a migliaia di chilometri dall'Egitto? C'entra, perché è proprio in Burundi che si trova la sorgente più meridionale del Nilo. Più precisamente per vedere il punto dove sgorgano le prime acque che poi, insieme ad altre, vanno a formare il grande corso del Nilo, bisogna andare nel villaggio di Rutovu, nella provincia di Bururi. Da qui si erge il monte Gikizi, dove, a un'altezza di 2.145 metri sulla cima Congo Nilo, è stata costruita una piccola piramide per segnalare il punto preciso della prima sorgente del Nilo. E' infatti al di sotto di quella montagna che esce il corso d'acqua più meridionale che dà origine al grande fiume africano. Questa sorgente di Rutovu fu scoperta solo nel 1934 dall'esploratore tedesco Burckhard Waldecker. Il rivolo di acqua che esce dal monte Gikizi prosegue poi il suo corso, ingrossandosi progressivamente e assumendo, prima di diventare il grande Nilo, diversi nomi: Kasenyi, Kasumo, Kigira, Ruvyironza, Ruvubu, Kagera, lago Vittoria, Victoria Nilo, lago Kyoga, lago Albert. Qui è possibile vedere alcune immagini del luogo dove sorge la piramide commemorativa della sorgente del Nilo di Rutovu.

venerdì 13 giugno 2008

I Gourmatché, etnia minoritaria del Burkina Faso

Il Burkina Faso si chiama cosi solo dal 1984, quando l'allora presidente Thomas Sankara, a 24 anni di distanza dalla conquista dell'indipendenza, decise di cambiare il nome del paese da Alto Volta a Burkina Faso, che, nella lingua dell'etnia principale di questo paese, quella dei Mossi, significa "terra degli uomini onesti". Il popolo degli uomini onesti, i Burkinabè appunto, è costituito da ben 60 gruppi etnici. Tra questi, vi sono i Gourmatché, che costituiscono circa il 5% degli oltre 13 milioni di abitanti del Burkina Faso. Essi vivono prevalentemente nella parte orientale del Paese, e più precisamente nelle province di Gnagna, Gourma, Komandjoari, Kompienga e Tapoa. Pare che una certa presenza dei Gourmatché vi sia anche nelle regioni settentrionali di Togo e Benin, due paesi confinanti con la regione orientale del Burkina Faso. La tradizione orale della cultura di questa etnia suggerisce che questo popolo sia venuto probabilmente dal Ciad. Uno dei tratti più carattestistici dei Gourmatché è la loro pratica della geomanzia, che letteralmente significa "divinazione attraverso la terra", e che consiste nello studio della terra per predire il futuro. I Gourmatché infatti sono animisti che basano la loro arte divinatoria nell'interpretazione di segni tracciati sulla sabbia. La sabbia per loro è quindi uno strumento per studiare la divinità e il loro destino.

martedì 10 giugno 2008

Il Monastero di Rila, il più grande della Bulgaria

Il monastero di Rila è il più grande dei monasteri che si trovano in Bulgaria. Si trova a circa 120 km da Sofia, a 1.147 metri di altezza, a ridosso del Monte Rila. Il monastero sorge nell'area che era stata scelta nel X secolo d.C. da Ivan Rilski (Giovanni da Rila) come luogo per il proprio eremitaggio. Egli usava stare in una caverna, dove presto arrivarono tanti fedeli attratti dalla figura di Ivan, che infatti poi divenne santo. E proprio a fianco di quella caverna, Ivan Rilski e i suoi primi discepoli costruirono quello che allora era il primo monastero del mondo slavo. Purtroppo nel XIII secolo il monastero fu distrutto da un incendio, probabilmente appiccato da briganti, ma dopo 1 secolo esso fu interamente ricostruito a pochi passi dal proprio luogo originario. Nonostante un altro incendio e un successivo attacco distruttivo dei turchi ottomani danneggiarono gravemente il monastero, rimasero intatte alcune sue parti ricostruite nel XIV secolo: la torre fortificata, detta di Hrelio, le porte intagliate della chiesa, il trono vescovile, alcuni manoscritti e alcune icone e arredi sacri. Dal 1469 questo monastero ospita, nella chiesa del santuario, i resti di Ivan Rilski. Il monastero di Rila è costituito da un edifico di 4 piani che ospita 300 celle per i monaci, da un grande cortile, da una chiesa, da una biblioteca e dall'imponente torre detta di Hrelio. Tutt'intorno è circondato da alte mura di cinta con numerose feritoie. L'opera d'arte più preziosa presente nel monastero, contenuta nella chiesa, è l'iconostasi intagliata in legno, ma nella chiesa si trovano anche molte altre icone, di epoca risalente tra il XIV e il XIX secolo. Questo luogo è stato molto importante per la storia della Bulgaria perché qui nacque il primo centro studi sulla cultura bulgara, che contribuì alla sua conservazione e diffusione; qui, durante il regno dei turchi che aveva cancellato cultura e lingua nazionale, la liturgia continuava a essere celebrata in slavo; qui, nell biblioteche del monastero, si sono conservati gli antichi manoscritti più importanti della storia culturale del paese; e qui, nelle scuole dei monaci, aperte tra l'altro anche ai laici, si usava la lingua bulgara. Per conoscere meglio il monastero di Rila, questo è il sito del monastero, queste sono alcune sue immagini, mentre questi sono alcuni video in cui viene ritratto.

lunedì 2 giugno 2008

Gli Iban, popolo indigeno del Sultanato del Brunei

Tra la popolazione del sultanato del Brunei, costituita prevalentemente da malesi, esistono dei gruppi etnici indigeni che costituiscono delle minoranze piccole ma molto importanti perché sulla loro pelle è scritta la storia dell'evoluzione di quelle terre. Tra questi gruppi di indigeni, uno dei più importanti è costituito dal popolo degli Iban, che fino a 2 secoli fa, erano dei cacciatori noti per il loro coraggio. Quando intorno al 1840 gli inglesi entrarono in contatto con gli Iban, li chiamarono Sea Dayak, per il loro passato di pirati e pescatori. Oggi gli Iban non sono più cacciatori, anche se capita ancora di vedere qualcuno cimentarsi nella caccia a grossi animali nella giungla, ma sono diventati un popolo di agricoltori pacifici e ospitali. Gli Iban coltivano soprattutto pepe, caucciù, cocco, olio di palma e frutta. Spesso essi, non riuscendo a sostenersi con quello che producono, sono costretti a importare da fuori parte del cibo necessario alla loro sussistenza. Tanti giovani Iban si sono allontanati dalle loro famiglie e dalla loro comunità originaria per andare a vivere nelle città, e qui hanno acquisito nuove professionalità. Ogni comunità Iban è governata in modo democratico, sulla base di una concezione egualitaria dei suoi membri; al suo interno ha due esponenti molto importanti: il tuah rumah, che è il capo "politico" del villaggio che si occupa delle questioni amministrative e giudiziarie, ed è quindi deputato anche a regolare i conflitti che sorgono all'interno della comunità, e il tuah burong, che è il capo religioso del gruppo e si occupa di tutte le attività religiose. A proposito di religione, gli Iban sono animisti, e molti di loro sono ancora molto legati ai riti e alle credenze tradizionali. Tra questi riti, in genere di tipo propiziatoro per avere dei buoni raccolti, molti sono legati alla coltivazioni del riso, che da essi è considerata qualcosa di più che un lavoro, se si pensa al fatto che per esempio per gli Iban il riso ha un'anima. Bisogna però dire che oggi molti Iban ormai si sono mescolati al resto della popolazione del Brunei, e quindi le loro tradizioni religiose si sono talvolta mescolate all'Islam, religione maggioritaria in questo paese, e al Cristianesimo. Per conoscere meglio gli Iban del Brunei, queste sono alcune loro immagini.

martedì 27 maggio 2008

I Bushmen del Botswana, uno dei gruppi etnici più antichi al mondo

I Bushmen, chiamati anche San, Basarwa o Khwe, sono considerati uno dei gruppi etnici più antichi al mondo. Essi sono presenti in diversi paesi sudafricani, provengono dal ceppo etnico dei Khoisan e sono legati ai pastori Khoikhoi. La loro storia è purtroppo una storia di persecuzione, che è iniziata millenni fa e che è arrivata fino alle persecuzioni dei colonizzatori tedeschi e del regime di apartheid del Sud Africa. Da metà degli anni '90 hanno dovuto subire anche le pressioni del governo del Botswana che mirava a spostarli di forza dai loro insediamenti originari, situati nel Central Kalahari Game Reserve, un parco nazionale del deserto Kalahari, verso nuovi insediamenti avulsi dal loro contesto originario. La motivazione portata avanti dal governo del Botswana era di aiutare i Bushmen a trasformarsi da nomadi cacciatori ad agricoltori stabili per garantire loro un futuro sostenibile, ma in realtà in molti pensano che il governo del Botswana sia stato mosso dalla volontà di sfruttare i giacimenti di diamanti presenti nella zona e di trasformare quelle zone in attrazioni turistiche. Nel 2006 finalmente i Bushmen hanno vinto una causa e ad essi è stato riconosciuto il diritto di vivere nelle loro terre originarie. Tra l'altro, il fatto di vivere lontano dai centri urbani ha consentito ai Bushmen di non essere ancora falcidiati da aids e alcol, due piaghe molto gravi nei paesi africani. La loro è una vita nomade; si spostano in continuazione, vivono di caccia e di raccolta e hanno un'economia basata sullo scambio di beni necessari piuttosto che sulla compravendita. Cacciano nei loro vestiti tradizionali, con i loro piccoli archi e le loro frecce sottili, di cui essi ricoprono le punte con veleno tratto dalle larve degli scarafaggi Chrysomelidae. Spesso essi rincorrono animali come le antilopi per 4 o 5 giorni fino a che essi sono esausti e possono essere ammazzari. Nonostante vi siano dei capi all'interno dei loro gruppi, la comunità dei Bushmen non ha una struttura gerarchica e le decisioni vengono prese comunitariamente sulla base del consenso. Le donne sono rispettate alla stessa maniera degli uomini, anche se nel gruppo hanno ruoli ben distinti. I bambini non fanno altro che giocare e non hanno nessun tipo di dovere. I Bushmen danno molta importanza al tempo libero, durante il quale conversano, ballano e cantano. Essi hanno un loro repertorio di canti che celebrano la caccia e svolgono danze curative per guarire le persone che hanno una malattia o delle ferite, magari riportate durante la caccia. Per conoscere meglio i Bushmen, questi sono alcuni video che li raccontano e queste sono alcune immagini che li ritraggono.

martedì 20 maggio 2008

Jajce, un importante pezzo di storia nella regione dei Balcani

Jajce è una cittadina che sorge nella campagna collinosa del centro della Bosnia-Erzegovina, lungo la strada statale che collega Sarajevo e Zagabria. Il suo cuore è costituito da un castello medioevale, che risale alle origini di questo centro, e che è circondato da mura originali con porte d'ingresso al forte dislocate in più punti delle mura. La sua costruzione risale al XIV secolo, quando Jajce era parte del Regno Bosniaco, un regno cristiano. Fu tale fino a quando nel 1527 essa fu l'ultima città a cadere sotto il dominio ottomano. L'alternanza di presenza cristiana e musulmana nella storia di questa città è testimoniata dalla presenza di chiese e moschee. Un momento storico molto importante per Jajce fu il 1943, anno in cui questo piccolo centro bosniaco ospitò i delegati della seconda sessione del Consiglio Antifascista per la Liberazione Nazionale della Yugoslavia, che proclamarono la costituzione delineando i principi della nuova Yugoslavia federale, e vide il maresciallo Tito succedere ufficialmente al re Pietro II come capo legittimo del governo yugoslavo. Prima della guerra della ex-Yugoslavia, Jajce era multietnica, e al suo interno convivevano pacificamente serbi, in maggioranza nella parte settentrionale della città, croati, maggioritari nella parte sud-occidentale della città, e bosniaci, in prevalenza nella zona sud-orientale della città. Purtroppo successivamente, negli anni che vanno dal 1992 al 1995, durante la guerra della ex-Jugoslavia, Jajce dovette subire molti attacchi e controattacchi da parte delle forze serbe da una parte e croate e bosniache dall'altra, fino a quando, nel 1995, essa fu presa dai croati prima di divenire, sulla base degli accordi di Dayton, parte della Federazione di Bosnia e Erzegovina. La parte più antica di Jajce conserva ancora tratti di strada acciottolata e alcune case che risalgono al periodo medioevale. Molto interessante da vedere è la chiesa più vecchia di Jajce, la chiesa di San Luca, restaurata dall'ultima regina bosniaca Katarina Kosača-Kotromanić. Jajce oggi è nota anche per le sue cascate, situate li vicino, dove il fiume Vrbas incontra il lago Pliva. Si tratta di un salto d'acqua di circa 25 metri, che offre un bello spettacolo di schiuma bianca, accompagnato dal fragore tipico delle grandi cascate. A 10-20 km da Jajce sorge il castello di Komotin, che è più vecchio e più piccolo di quello di Jajce, e che da qualcuno viene indicato come il vero centro originario di Jajce. Sullo sfondo, dietro a Jajce sorgono montagne alte più di 2.000 metri. Per conoscere meglio Jajce, questo è il sito ufficiale della cittadina, queste sono alcune immagini delle cascate, mentre questi sono alcuni video girati a Jajce e dintorni.

martedì 13 maggio 2008

I piatti tipici della cucina bielorussa

Da secoli l'ingrediente principale della cucina bielorussa è costituito dalle patate. Addirittura la gente bielorussa talvolta viene chiamata bulbashi, che significa popolo delle patate, dato che bulba nella lingua bielorussa vuol dire patata. Questa tubero fu originariamente importato dall'America latina dallo zar Pietro il Grande, e da allora il popolo bielorusso, forzato dall'esercito dello zar, prese, inizialmente controvoglia, a coltivarlo anche sulle proprie terre e lo integrò in modo abbastanza stabile nella propria dieta. Si scoprì successivamente che le patate coltivate in Bielorussa sono, a causa delle particolari condizioni climatiche naturali del paese, particolarmente saporite e ricche di amido. Spesso, in tempi di guerra o nei periodi in cui il paese era devastato da calamità naturali, le patate sostituivano il pane sulle tavole dei bielorussi. In Bielorussa vi sono diversi piatti tipici a base di patate, e molti bar del paese sono specializzati nell'offrirli ai turisti. Uno di questi è il draniki, una specie di frittella fritta in olio, in cui, alle patate, si aggiungono come ingredienti anche cipolle, uova, yogurt e aglio. A seconda di dove ci si trovi, è possibile trovare anche delle varianti locali del draniki, che magari possono contenere carote, zucca o pancetta. Un'altro piatto tipico bielorusso molto semplice a base di patate sono le zrazy, piccole palline larghe circa 3-4 cm che contengono, oltre alle patate, anche cipolle, sale e pepe, e che si friggono in padella, spesso con del lardo. Anche diversi pirazhki (pasticcini) e budini al forno vengono fatti utilizzando le patate La patata in Bielorussa viene anche usata in molte insalate, accompagnata spesso con funghi e carne. E, a proposito di carne, è il maiale che la fa da padrone sui piatti dei bielorussi. La carne e il grasso di maiale spopolano infatti da queste parti. Piatto tipico, molto usato nelle feste popolari, è il pyachysta, fatto con grasso di maiale sotto sale, leggermente affumicato e condito con cipolle e aglio. Il grasso di maiale è presente anche in un altro piatto popolare, a base di farina, che si chiama zacirka. Per quanto riguarda invece i piatti di pesce, molto rinomati sono il yushka e il galki. In Bielorussa vengono mangiati molto anche i funghi, freschi, essicati, sotto sale e sotto aceto. Il latte ricorre spesso sulle tavole dei bielorussi, preferibilmente intero, e spesso viene utilizzato per fare lo yogurt o il cosidetto klinkovi, il formaggio fresco, o per accompagnare o condire piatti di verdura o di pasta. Per chi fosse appassionato di birra, le birre più popolari della Bielorussa si chiamano myadukha, berezavik e kvas.

martedì 6 maggio 2008

Il tempio buddista di Taktsang, incastonato nella montagna

E' uno dei luoghi religiosi più affascinanti del Bhutan e più frequentati dai pellegrini buddisti di questa regione del mondo. Il tempio buddista di Taktsang sorge a nord-ovest di Paro, a un'altezza di 2.950 metr,i ed è incastonato sulla parete rocciosa delle montagne, sovrastando pareti a strapiombo lunghe anche 800 metri. La leggenda spiega il nome di questo tempio facendo risalire la sua origine al grande maestro buddista Padmasambhava che, si racconta, nell'VIII secolo attraversò tutta la catena dell'Himalaya sul dorso di una tigre volante per portare il buddismo in Bhutan e nelle altre zone della regione. Egli atterrò proprio dove adesso sorge il tempio di Taktsang, che significa "tana della tigre". Ma la vera origine di questo tempio probabilmente risale al XIV secolo. Da allora molti maestri spirituali sono venuti fin qui a meditare. Il luogo è raggiungibile solo attraverso un difficile e ripido sentiero che sale sul pendio della montagna in mezzo a una foresta di querce, pini e rododentri. Dopo la fatica della salita è possibile riposare e dissetarsi nella Teahouse e ammirare da un punto panoramico una vista mozzafiato di tutto il tempio. Purtroppo nel 1998 il tempio ha subito un grave incendio, ma grazie a uno sforzo internazionale è stato possibile in circa 4 anni ricostruire le parti distrutte dell'edificio. Per rendersi conto del fascino che può esercitare il tempio di Taktsang, queste sono alcune sue immagini, mentre questi sono alcuni video che lo ritraggono da vicino.

giovedì 1 maggio 2008

Ouidah, il porto di partenza degli schiavi

La città di Ouidah si trova sulla costa occidentale del Benin. La sua triste fama è legata al fatto che essa ha costituito per secoli la base da cui partivano gli schiavi presi in tutta l'Africa occidentale. Proprio qui infatti, in riva al mare, milioni di schiavi di colore vennero portati e imbarcati sulle navi che li portavano in America latina, soprattutto in Brasile. Agli inizi del XVIII secolo si calcola che da Ouidah partivano ogni anno dai 15 mila ai 20 mila schiavi. Nel cosidetto "quartiere brasiliano" si trova la casa del Vicerè, nella piazza Cha-cha, dove gli schiavi venivano acquistati e marchiati con il ferro ardente. Qui, in catene, facevano diverse volte il giro attorno all’albero dell’oblio. Era questo un modo per far dimenticare loro la strada che avevano fatto e per estraniarli maggiormente dalla cruda realtà. Venivano condotti poi alla Casa Oscura nel quartiere Zomai, dove venivano tenuti per intere settimane, al buio e in catene, in attesa dell’arrivo delle navi negriere. Quando arrivava il loro momento, essi venivano condotti lungo una strada di 4 km, la cosidetta Route des esclaves, la Strada degli schiavi appunto, che li portava fino al mare, nel punto in cui dovevano imbarcarsi. Qui oggi sorge un mausoleo, chiamato la Porta del non ritorno, realizzato per non dimenticare la tratta degli schiavi. Tratta che continuò fino alla metà del XIX secolo. Per rendersi conto di quello che è Ouidah, queste sono alcune immagini dei luoghi da non dimenticare, tra cui anche quello in cui sorge la Porta del non ritorno.

martedì 22 aprile 2008

I piatti tipici della cucina di Barbados

La cucina di Barbados è l'incontro tra le risorse naturali presenti al suo interno, come il pesce o la canna da zucchero, e l'influenza esterna degli stili culinari dei popoli che hanno nel corso dei secoli occupato l'isola. Sicuramente il pesce è l'ingrediente principale dei piatti tipici di Barbados. I pescatori locali ogni giorno portano ad abitanti del posto e turisti una grande varietà di pesci, tra cui spicca il mahi mahi. I locali apprezzano molto i cosidetti cutters, che sono dei sandwiches di pesce, serviti spesso insieme al coucou, un piatto di cereali conditi con un misto piccante di pomodori, cipolle e peperoncino. Un altro piatto tipico di Barbados è il Bajan pepper-pot, uno stufato di manzo cotto in salsa piccante. Come si può vedere, oltre al pesce, altro padrone della cucina di Barbados è il peperoncino. Oltre al salato, vi sono anche dei dolci tipici di quest'isola, molto in voga tra la gente locale. Uno di questi è costituito dai conkies, specialità che si ottengono mescolando cereali, cocco, zucca, uva passa, patate dolci e spezie, tutti cotti a vapore all'interno di una buccia di banana. Per passare poi alle bevande, una delle più bevute si chiama falernum, che è un liquore a base di rum, con zucchero, cedro e essenza di mandorla. Una bevanda alternativa e non alcolica è il Mauby, fatto con una corteccia locale trattata e bollita.