martedì 27 maggio 2008

I Bushmen del Botswana, uno dei gruppi etnici più antichi al mondo

I Bushmen, chiamati anche San, Basarwa o Khwe, sono considerati uno dei gruppi etnici più antichi al mondo. Essi sono presenti in diversi paesi sudafricani, provengono dal ceppo etnico dei Khoisan e sono legati ai pastori Khoikhoi. La loro storia è purtroppo una storia di persecuzione, che è iniziata millenni fa e che è arrivata fino alle persecuzioni dei colonizzatori tedeschi e del regime di apartheid del Sud Africa. Da metà degli anni '90 hanno dovuto subire anche le pressioni del governo del Botswana che mirava a spostarli di forza dai loro insediamenti originari, situati nel Central Kalahari Game Reserve, un parco nazionale del deserto Kalahari, verso nuovi insediamenti avulsi dal loro contesto originario. La motivazione portata avanti dal governo del Botswana era di aiutare i Bushmen a trasformarsi da nomadi cacciatori ad agricoltori stabili per garantire loro un futuro sostenibile, ma in realtà in molti pensano che il governo del Botswana sia stato mosso dalla volontà di sfruttare i giacimenti di diamanti presenti nella zona e di trasformare quelle zone in attrazioni turistiche. Nel 2006 finalmente i Bushmen hanno vinto una causa e ad essi è stato riconosciuto il diritto di vivere nelle loro terre originarie. Tra l'altro, il fatto di vivere lontano dai centri urbani ha consentito ai Bushmen di non essere ancora falcidiati da aids e alcol, due piaghe molto gravi nei paesi africani. La loro è una vita nomade; si spostano in continuazione, vivono di caccia e di raccolta e hanno un'economia basata sullo scambio di beni necessari piuttosto che sulla compravendita. Cacciano nei loro vestiti tradizionali, con i loro piccoli archi e le loro frecce sottili, di cui essi ricoprono le punte con veleno tratto dalle larve degli scarafaggi Chrysomelidae. Spesso essi rincorrono animali come le antilopi per 4 o 5 giorni fino a che essi sono esausti e possono essere ammazzari. Nonostante vi siano dei capi all'interno dei loro gruppi, la comunità dei Bushmen non ha una struttura gerarchica e le decisioni vengono prese comunitariamente sulla base del consenso. Le donne sono rispettate alla stessa maniera degli uomini, anche se nel gruppo hanno ruoli ben distinti. I bambini non fanno altro che giocare e non hanno nessun tipo di dovere. I Bushmen danno molta importanza al tempo libero, durante il quale conversano, ballano e cantano. Essi hanno un loro repertorio di canti che celebrano la caccia e svolgono danze curative per guarire le persone che hanno una malattia o delle ferite, magari riportate durante la caccia. Per conoscere meglio i Bushmen, questi sono alcuni video che li raccontano e queste sono alcune immagini che li ritraggono.

martedì 20 maggio 2008

Jajce, un importante pezzo di storia nella regione dei Balcani

Jajce è una cittadina che sorge nella campagna collinosa del centro della Bosnia-Erzegovina, lungo la strada statale che collega Sarajevo e Zagabria. Il suo cuore è costituito da un castello medioevale, che risale alle origini di questo centro, e che è circondato da mura originali con porte d'ingresso al forte dislocate in più punti delle mura. La sua costruzione risale al XIV secolo, quando Jajce era parte del Regno Bosniaco, un regno cristiano. Fu tale fino a quando nel 1527 essa fu l'ultima città a cadere sotto il dominio ottomano. L'alternanza di presenza cristiana e musulmana nella storia di questa città è testimoniata dalla presenza di chiese e moschee. Un momento storico molto importante per Jajce fu il 1943, anno in cui questo piccolo centro bosniaco ospitò i delegati della seconda sessione del Consiglio Antifascista per la Liberazione Nazionale della Yugoslavia, che proclamarono la costituzione delineando i principi della nuova Yugoslavia federale, e vide il maresciallo Tito succedere ufficialmente al re Pietro II come capo legittimo del governo yugoslavo. Prima della guerra della ex-Yugoslavia, Jajce era multietnica, e al suo interno convivevano pacificamente serbi, in maggioranza nella parte settentrionale della città, croati, maggioritari nella parte sud-occidentale della città, e bosniaci, in prevalenza nella zona sud-orientale della città. Purtroppo successivamente, negli anni che vanno dal 1992 al 1995, durante la guerra della ex-Jugoslavia, Jajce dovette subire molti attacchi e controattacchi da parte delle forze serbe da una parte e croate e bosniache dall'altra, fino a quando, nel 1995, essa fu presa dai croati prima di divenire, sulla base degli accordi di Dayton, parte della Federazione di Bosnia e Erzegovina. La parte più antica di Jajce conserva ancora tratti di strada acciottolata e alcune case che risalgono al periodo medioevale. Molto interessante da vedere è la chiesa più vecchia di Jajce, la chiesa di San Luca, restaurata dall'ultima regina bosniaca Katarina Kosača-Kotromanić. Jajce oggi è nota anche per le sue cascate, situate li vicino, dove il fiume Vrbas incontra il lago Pliva. Si tratta di un salto d'acqua di circa 25 metri, che offre un bello spettacolo di schiuma bianca, accompagnato dal fragore tipico delle grandi cascate. A 10-20 km da Jajce sorge il castello di Komotin, che è più vecchio e più piccolo di quello di Jajce, e che da qualcuno viene indicato come il vero centro originario di Jajce. Sullo sfondo, dietro a Jajce sorgono montagne alte più di 2.000 metri. Per conoscere meglio Jajce, questo è il sito ufficiale della cittadina, queste sono alcune immagini delle cascate, mentre questi sono alcuni video girati a Jajce e dintorni.

martedì 13 maggio 2008

I piatti tipici della cucina bielorussa

Da secoli l'ingrediente principale della cucina bielorussa è costituito dalle patate. Addirittura la gente bielorussa talvolta viene chiamata bulbashi, che significa popolo delle patate, dato che bulba nella lingua bielorussa vuol dire patata. Questa tubero fu originariamente importato dall'America latina dallo zar Pietro il Grande, e da allora il popolo bielorusso, forzato dall'esercito dello zar, prese, inizialmente controvoglia, a coltivarlo anche sulle proprie terre e lo integrò in modo abbastanza stabile nella propria dieta. Si scoprì successivamente che le patate coltivate in Bielorussa sono, a causa delle particolari condizioni climatiche naturali del paese, particolarmente saporite e ricche di amido. Spesso, in tempi di guerra o nei periodi in cui il paese era devastato da calamità naturali, le patate sostituivano il pane sulle tavole dei bielorussi. In Bielorussa vi sono diversi piatti tipici a base di patate, e molti bar del paese sono specializzati nell'offrirli ai turisti. Uno di questi è il draniki, una specie di frittella fritta in olio, in cui, alle patate, si aggiungono come ingredienti anche cipolle, uova, yogurt e aglio. A seconda di dove ci si trovi, è possibile trovare anche delle varianti locali del draniki, che magari possono contenere carote, zucca o pancetta. Un'altro piatto tipico bielorusso molto semplice a base di patate sono le zrazy, piccole palline larghe circa 3-4 cm che contengono, oltre alle patate, anche cipolle, sale e pepe, e che si friggono in padella, spesso con del lardo. Anche diversi pirazhki (pasticcini) e budini al forno vengono fatti utilizzando le patate La patata in Bielorussa viene anche usata in molte insalate, accompagnata spesso con funghi e carne. E, a proposito di carne, è il maiale che la fa da padrone sui piatti dei bielorussi. La carne e il grasso di maiale spopolano infatti da queste parti. Piatto tipico, molto usato nelle feste popolari, è il pyachysta, fatto con grasso di maiale sotto sale, leggermente affumicato e condito con cipolle e aglio. Il grasso di maiale è presente anche in un altro piatto popolare, a base di farina, che si chiama zacirka. Per quanto riguarda invece i piatti di pesce, molto rinomati sono il yushka e il galki. In Bielorussa vengono mangiati molto anche i funghi, freschi, essicati, sotto sale e sotto aceto. Il latte ricorre spesso sulle tavole dei bielorussi, preferibilmente intero, e spesso viene utilizzato per fare lo yogurt o il cosidetto klinkovi, il formaggio fresco, o per accompagnare o condire piatti di verdura o di pasta. Per chi fosse appassionato di birra, le birre più popolari della Bielorussa si chiamano myadukha, berezavik e kvas.

martedì 6 maggio 2008

Il tempio buddista di Taktsang, incastonato nella montagna

E' uno dei luoghi religiosi più affascinanti del Bhutan e più frequentati dai pellegrini buddisti di questa regione del mondo. Il tempio buddista di Taktsang sorge a nord-ovest di Paro, a un'altezza di 2.950 metr,i ed è incastonato sulla parete rocciosa delle montagne, sovrastando pareti a strapiombo lunghe anche 800 metri. La leggenda spiega il nome di questo tempio facendo risalire la sua origine al grande maestro buddista Padmasambhava che, si racconta, nell'VIII secolo attraversò tutta la catena dell'Himalaya sul dorso di una tigre volante per portare il buddismo in Bhutan e nelle altre zone della regione. Egli atterrò proprio dove adesso sorge il tempio di Taktsang, che significa "tana della tigre". Ma la vera origine di questo tempio probabilmente risale al XIV secolo. Da allora molti maestri spirituali sono venuti fin qui a meditare. Il luogo è raggiungibile solo attraverso un difficile e ripido sentiero che sale sul pendio della montagna in mezzo a una foresta di querce, pini e rododentri. Dopo la fatica della salita è possibile riposare e dissetarsi nella Teahouse e ammirare da un punto panoramico una vista mozzafiato di tutto il tempio. Purtroppo nel 1998 il tempio ha subito un grave incendio, ma grazie a uno sforzo internazionale è stato possibile in circa 4 anni ricostruire le parti distrutte dell'edificio. Per rendersi conto del fascino che può esercitare il tempio di Taktsang, queste sono alcune sue immagini, mentre questi sono alcuni video che lo ritraggono da vicino.

giovedì 1 maggio 2008

Ouidah, il porto di partenza degli schiavi

La città di Ouidah si trova sulla costa occidentale del Benin. La sua triste fama è legata al fatto che essa ha costituito per secoli la base da cui partivano gli schiavi presi in tutta l'Africa occidentale. Proprio qui infatti, in riva al mare, milioni di schiavi di colore vennero portati e imbarcati sulle navi che li portavano in America latina, soprattutto in Brasile. Agli inizi del XVIII secolo si calcola che da Ouidah partivano ogni anno dai 15 mila ai 20 mila schiavi. Nel cosidetto "quartiere brasiliano" si trova la casa del Vicerè, nella piazza Cha-cha, dove gli schiavi venivano acquistati e marchiati con il ferro ardente. Qui, in catene, facevano diverse volte il giro attorno all’albero dell’oblio. Era questo un modo per far dimenticare loro la strada che avevano fatto e per estraniarli maggiormente dalla cruda realtà. Venivano condotti poi alla Casa Oscura nel quartiere Zomai, dove venivano tenuti per intere settimane, al buio e in catene, in attesa dell’arrivo delle navi negriere. Quando arrivava il loro momento, essi venivano condotti lungo una strada di 4 km, la cosidetta Route des esclaves, la Strada degli schiavi appunto, che li portava fino al mare, nel punto in cui dovevano imbarcarsi. Qui oggi sorge un mausoleo, chiamato la Porta del non ritorno, realizzato per non dimenticare la tratta degli schiavi. Tratta che continuò fino alla metà del XIX secolo. Per rendersi conto di quello che è Ouidah, queste sono alcune immagini dei luoghi da non dimenticare, tra cui anche quello in cui sorge la Porta del non ritorno.